Memoria
In memoria di Pietro Ferrero
Ottantotto anni fa, nei giorni, compresi tra il 18 e il 20 dicembre 1922, cadeva il compagno anarchico Pietro Ferrero, segretario generale della FIOM – CGdL di Torino, trucidato assieme ad altri 21 compagni comunisti, socialisti e anarchici nel corso di una strage fascista che insanguinò la città.
Pietro Ferrero nacque a Torino 12 maggio 1892. Nel 1911 fu tra i sostenitori della Scuola moderna "F.Ferrer" ispirata ai principi pedagogici libertari dell’anarchico spagnolo Francisco Ferrer, che vide tra i suoi partecipanti numerosissimi proletari della Torino “operaia e socialista” e che funzionò come scuola di classe. Durante la Prima guerra mondiale fu attivissimo contro i cedimenti riformisti partecipando, nel 1917, ai moti operai contro la guerra. Operaio alla FIAT dal 1918 divenne un collaboratore entusiasta de “L’Ordine Nuovo”, il giornale della Torino dei consigli operai diretto da Antonio Gramsci per divenire successivamente il segretario generale della sezione torinese della FIOM – CGdL di Torino. In occasione della fondazione dell’USI Ferrero fu tra quei compagni anarchici che sostennero la necessità della presenza nella CGdL e durante il suo mandato di segretario si impegnò nel sostegno delle lotte che avrebbero condotto all’occupazione delle fabbriche nel settembre 1920, laddove si oppose con intransigenza all’accordo "D’Aragona-Giolitti" che smobilitava le lotte dei lavoratori, sottolineando in quell’occasione le conseguenze negative dei cedimenti riformisti con le efficacissime parole dell’anarchico Errico Malatesta, «Se gli operai abbandonano le fabbriche, si aprono le porte alla reazione del fascismo».
Difensore intransigente degli interessi dei lavoratori, Ferrero fu atrocemente assassinato dalle squadre fasciste di Piero Brandimarte il 18 dicembre 1922: bastonato e legato a un camion, fu trascinato vivo per le vie di Torino. Nella Camera del Lavoro di Torino un Busto ricorda questo nostro compagno.
Ricordiamo il compagno anarchico Pietro Ferrero con le belle parole di Antonio Gramsci:
«Organizzatore serio e onesto, invano gli industriali metallurgici e i mandarini della FIOM tentarono di corromperlo, di farne un funzionario sindacale secondo il conio confederale. Ferrero ha sempre testualmente risposto: "Son qui per difendere gli interessi e le aspirazioni degli operai metallurgici, e li difenderò fino a quando essi vogliono che io rimanga a questo posto".
G.A.
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Di seguito il ricordo del nostro Pietro Ferrero nelle parole di Francesco Repaci, tratte da Terrorismo Fascista di Francesco Repaci edizione Eclettica 5 maggio 1945
Il Massacro di Pietro Ferrero 12 maggio 1892-18 dicembre 1922
Pietro Ferrero fu assassinato la notte del 18 dicembre. Verso mezzogiorno, alcune squadre fasciste, armate sino ai denti, si recarono a occupare la Camera del Lavoro ch’era guardata e ….difesa da un reparto di guardie regie, le quali però, al sopraggiungere delle camice nere, disciplinatamente e dignitosamente, cedettero il posto. Le poche persone che in quell’ora si trovavano ancora negli uffici fecero a tempo a ritirarsi; rimasero invece l’on. Pagella, un certo Arturo Cozza e Pietro Ferrero, sui quali gli eroici ricostruttori sfogarono la loro bile. L’on. Pagella dovette recarsi all’Ospedale per farsi medicare una ferita lacero-contusa all’orbita; il Cozza dovette essere trasportato in autoambulanza all’Ospedale S. Giovanni per cinque gravi ferite alla testa e la frattura di alcune falangi. Il Ferrero, pesto e sanguinante, avendo bisogno di trovar il segretario della Camera del Lavoro che, frattanto, aveva saputo essere sulle mosse per partire per Milano, si recò alla Stazione di Porta Susa. Lo scoppio della prima granata incendiaria alla Camera del Lavoro deve averlo fatto ritornare sui suoi passi. La distruzione della magnifica casa del proletariato deve averlo irresistibilmente attirato sul posto. Lo spettacolo del grandioso edifizio in fiamme era un quadro dell’Apocalisse. L’incendio, appiccato da una bomba fatta scoppiare sulla Torretta, si propagò rapidamente nei locali sottostanti sicché, in breve, tutta la parte centrale dei due piani superiori fu avvolta dal fuoco. Dalle finestre le fiamme rabbiose come draghi irrompevano, lingueggiavano, minacciavano il cielo, alimentate dalla benzina copiosamente sparsa sui mobili, sui pavimenti, sui muri. Di tanto in tanto, nuovi scoppi fragorosi ed impressionanti tuonavano annunziando che l’incendio si propagava, incalzato e sostenuto dalle altre bombe incendiarie sparse per i locali. Il solo piano terreno resiste ancora, quando uno degli eroi, staccandosi dalla massa imbestialita, urlante, folleggiante, diabolica, cosparge di benzina anche il portone e le imposte poco elevate dal suolo.
Così tutto l’edificio, dalla banchina alla Torretta è una fornace d’inferno, guardata a distanza dai plotoni dei pompieri impossibilitati ad avvicinarsi. E mentre i vetri crollano e le imposte ardono, un inno formidabile, cantato da migliaia di petti, sale al cielo per esaltare la giovinezza italica che finalmente aveva riabilitato e superati il Barbarossa e gli Unni. Come si trovò il povero Ferrero davanti alle rovine della Camera del Lavoro? Nessuno lo sa; certo è però che ad un certo momento alcuni fascisti lo scorsero e lo catturarono per lascirlo poi, steso ai piedi del monumento a V.E., in un lago di sangue. La sua testa dalle occhiate svuotate, era ridotto una cosa informe, mostruosa ed orrenda. Una sua sorella ed alcuni congiunti che l’indomani si recarono al S. Giovanni e furono ammessi a visitare la salma, durarono fatica a riconoscerlo. Gli abiti a brandelli, la faccia maciullata, le carni sanguinanti avvalorarono la voce che il povero Ferrero era stato legato per i piedi ad un camion ed in tal modo, ancora vivo, trascinato per tutto il corso Vittorio Emanuele. La identificazione poté avvenire giovandosi di una tessera della Croce Verde e di alcuni lembi della stoffa dei pantaloni. Il dolore della massa operaia per questa fine, sconosciuta persino agli artisti della tortura de “Il giardino dei supplizi”, fu immenso. Essa comprese che i servi del capitalismo avevano voluto torturare in Pietro Ferrero il proletariato insofferente e sentì nelle sue carni lo strazio delle povere carni del martire. Pietro Ferrero, segretario della Sezione torinese della Fiom, era stato un operaio metallurgico. Guadagnava allora poche lire al giorno ed aveva ambizioni che portò poi nel sepolcro. Più che ambizioni, erano aspirazioni, erano sogni: istruirsi per liberare se stesso e liberare la società dalle turpitudini inique che la schiacciano. Tutto ciò che sapeva lo aveva appreso da solo ed ardeva di apprendere sempre di più. D’animo mite, aveva sviluppato il sentimento della generosità e del compatimento. La dura lotta per la vita, raffinandolo, aveva acuito in lui la facoltà di indignarsi, ma aveva attutito quella di irritarsi. Aveva fatto parte di un cenacolo di idealisti dell’anarchia. Senonché, mentre alcuni di quei giovani, in seguito ad una certa crisi di coscienza, sono poi diventati l’on. Mario Gioda ed il comm. On. Massimo Rocca, egli, col Berruti, si mantenne ostinatamente fedele alla sua legge. Credette in un avvenire migliore, in cui nessuno avrebbe ucciso e nessuno sarebbe più sfruttato e senza pane. Sperò in un giorno in cui l’ingiustizia avrebbe ceduto il posto all’equità, non vi sarebbero più né tenebre, né fulmini, né delitto, né castigo. Non ebbe simpatie né per Satana, né per l’Arcangelo Michele. Credette in un avvenire di concordia, di luce, di gioia, di amore; ebbe fede in una umanità che sulla terra purificata e monda, avrebbe finalmente amato. E perciò fu ucciso
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